Diverse sono le soluzioni che emergono
dalla trasformazione,impressa al linguaggio poetico in Israele, a partire dagli
anni ’70 dalle forti individualità degli autori.
Yitzhak Laor |
Come un boa il tuo
respiro è rimasto
a pelo dell’acqua
senza, il tuo corpo
attraccato al mio
che naviga o galleggia,io
mi aggrappo ai
sussurri,la radio o un mormorio giunge
da fuori dalla
strada accanto,forse litigano
o scherzano sulla gita
del mattino,forse
qualcuno parla da
solo e se ti sveglio(su’
traduci)quanto in fretta ricorderai che ti ho
ferita?In me,
per esempio,ogni
rabbia è sfumata. Vago
nel buio,in cui
nulla riconosco se non il tuo respiro
il tuo
corpo,un’oscura silhouette rimasta da quando spegnemmo la luce.
Qui la precarietà si è eretta ad assoluto. E la serie di enjambements,[3] come le spire sinuose e soffocanti del boa, avvolge il lettore e lo stringe alla gola. Sembra mancargli il
respiro. Il conseguente disorientamento lo
porta a rivivere una deriva sfilacciata di trafitture, che sfibrano la
volontà. Non c’è più irritazione né amarezza. Soltanto un
fatalistico,rassegnato lasciarsi andare. Sul lettore l’ effetto del graffio di un ‘unghia che stride su un
vetro.
In conclusione ,possiamo constatare
che dalla stessa terra emergono anche le modalità poetiche in forte contrasto.
Dall’assoluto del mito del poeta palestinese al particolare della dimensione
quotidiana individuale dei poeti israeliani,per dire anch’essi del disagio
esistenziale,ma,questa volta,iscritto nel tempo storico,contemporaneo.
Nessun commento:
Posta un commento