domenica 20 dicembre 2015

Qualche pagina dell'antologia da sfogliare.1



15.UNA SCOPERTA DI ZOÉ



Caro  Gordon,
        conosci, non è vero?, quella strana sensazione del ritorno a casa, quando ancora non ci si è completamente tolti di dosso gli odori,i suoni e le immagini del posto che abbiamo lasciato e, almeno per un po’, ci si sente di essere non più lì e non ancora qui?Ecco,mi sento proprio così in questi giorni.
         E tu, orso in letargo nella tana londinese,come stai dopo i meritati successi senesi? A proposito:belle le poesie che mi hai mandato. Grazie! Quell’amore giovane e allegro dei poeti di Liverpool riempie di tenerezza e di felicità!
Mi dici nella mail che forse mi dovrei fermare. Ah,no!Sono sicura che non si tratta di questo: io, ancora, non voglio che il tempo passi  e mi superi nella sua folle corsa. Dunque, provo a muovermi più veloce di lui. Altro che pace zen!
Però,è vero,sto meglio,molto meglio,caro amico,e,ormai rinvigorita,voglio disturbare la tua felice noia.
Navigando su Internet l’altra sera,ho scovato nel sito del Centro Studi della Cittadella di Assisi il resoconto su una iniziativa per la costruzione di una cultura di pace. In questa occasione  si è aperto un dibattito sui poeti palestinesi e israeliani  contemporanei e i materiali mi sono parsi così interessanti che ho pensato, allora, di sottoporli al tuo giudizio. Perciò ti spedisco uno stralcio della recensione con i testi citati in traduzione italiana. Che ne pensi? Fammi sapere. Magari potrebbero  rientrare tra i testi del nostro gioco …
         A Natale raggiungerò di nuovo mia madre in Provenza. Partirò con un po’ di libri e il buon proposito di concludere qualche scritto che ho lasciato a metà.
Chissà,magari riusciremo a vederci nel nuovo anno. Qui o da qualche altra parte. Quanto durerà il tuo letargo londinese?
 Bisous ,Zoé.
        E Gordon,appena ricevuta la mail dall’amica,apre, curioso, l’allegato e, subito,accoglie la proposta di lettura.
       ‘È il grande poeta Mahmud Darwish[1] a rappresentare da solo la Palestina con i suoi poemi. È un grande visionario a cui Marcel Khalife dedicò tanta musica e un affetto condiviso da milioni di Arabi “dall’oceano al golfo”come si suole dire laggiù.
         La sua è una poesia di parole dove la terra natale martoriata e quella mutevole dell’esilio alimentano immagini che si inseguono e si accavallano come fiammate improvvise,come folgorazioni di luce da cui il lettore è abbagliato. Una poesia che,anche nella traduzione,conserva il fascino straordinario di quelle parole che formano un turbinare di miraggi leggeri e splendenti come la levitazione dei Dervisci durante le loro danze mistiche,anche se va inevitabilmente perduto il senso originario del ritmo e del suono,fondamentali alla loro natura di canti.
        Due i testi che qui riproponiamo ai nostri bloggers.                                       

Canzone di nozze[2]  

Sono venuta da te come gli astronauti,
di pianeta in pianeta. La mia anima
si apre dalle tue dieci dita sul mio corpo.
Prendimi a te, porta la colomba
 ai confini del grido sui tuoi fianchi:l’orizzonte
e l’eco. Lascia i cavalli galoppare invano
dietro di me,ché non vedo ancora la mia immagine
nella loro acqua … Non vedo nessuno,
nessuno,non ti vedo. Che ne hai fatto
della mia libertà?Chi sono dietro
le mura della città?Non una madre a strofinare
i miei lunghi capelli con il suo eterno henné
non una  sorella che li  intrecci. Chi sono fuori dalle mura,
tra i campi neutri e un cielo grigio?Sii
mia madre nel paese degli stranieri e portami
dolcemente verso ciò che sarò domani.

Chi sarò domani?Nascerò dalla tua
Costola,donna senz’altra preoccupazione
Che decorare il tuo universo?O piangerò laggiù
Una pietra che guidava le mie nuvole all’acqua del tuo pozzo?
Portami ai confini
Della terra prima che il mattino spunti su una luna
In lacrime di sangue nel letto. Portami dolcemente
Come la stella porta i sognatori, invano
E invano.
Invano guardo dietro ai monti di Moab
Nessun vento a riportare il vestito da sposa. Ti amo,
ma il mio cuore vibra del ritorno dell’eco e langue
per un altro iris. C’è tristezza più ambigua
per l’anima della gioia della ragazza
per le sue nozze? E ti amo benché mi ricordi
di ieri e mi ricordi di aver dimenticato
l’eco nell’eco.

Eco nell’eco,sono venuta da te
Come il nome,che passa di essere in essere.
Poco fa eravamo due stranieri in due paesi lontani,
cosa sarò  dopodomani quando sarò due?
Che ne hai fatto della mia libertà?
Più ti temo più ti avvicino,

e non ho meriti,amore mio straniero,
se non la mia passione.
Sii dunque una volpe buona tra le mie vigne
E con il verde dei tuoi occhi fissa il mio dolore.
Non tornerò al mio nome e alle mie steppe
Mai più
Mai più.
             
    Il tema del dépaysement subito nell’incipit. Il faticoso cammino per tappe d’avvicinamento alla meta della sposa promessa,che è,allo stesso tempo,il sofferto allontanamento dal proprio paese – come un astronauta che vaga nel cosmo – procede parallelamente con il dipanarsi del groviglio di dubbi che provoca il senso di identità perduto. La giovane non vede ancora la sua immagine riflessa in un paese dai campi non familiari e dal cielo grigio e rimprovera il suo amato di essere all’origine dello smarrimento dell’aspetto privato dell’immagine di sé,della perdita dei legami,degli affetti,della famiglia, che si riconoscevano nelle semplici,rassicuranti pratiche quotidiane d’un tempo. Ed ecco allora l’invocazione perché il suo sposo sia materno in terra straniera e la guidi ai confini del sogno prima che giunga l’alba a fissare la sua identità futura. Non vuole essere una sposa che sia l’ornamento aggiunto all’universo di lui né quella che altrove avrebbe potuto essere la superficie riflettente che avrebbe contribuito con l’acqua delle sue nuvole ad arricchire il suo pozzo. Quali sembianze assumerà inoltre il suo aspetto fuori dalle mura? L’amore della giovane sposa è appassionato,ma un velo inconsueto attenua lo splendore della gioia per le sue nozze. È il ricordo malinconico per ciò che si è cancellato. L’amore è allora ancora più prezioso e forte perché resiste allo struggente ricordo del passato e al ricordo della forza necessaria a volerlo cancellare. I due stranieri, che erano in due paesi lontani, stanno per spogliarsi delle loro identità individuali per fonderle in una? Oppure, sarà soltanto la giovane donna che dovrà trasformare la sua unicità plasmandola sulla seconda, su quella di lui? Avrà così esposto pericolosamente al rischio la sua libertà?Ma questi dubbi,queste inquietudini sono fonti di conoscenza e di avvicinamento al “volto dell’Altro”[3].La passione sincera che si schiude alle sue carezze rende più sicura la determinazione a non tornare sui suoi passi. Mai più si riapproprierà del suo nome, mai più tornerà a calcare la sua terra. I due nuovi fondamenti del sé saranno indissolubilmente legati a quelli dello sposo.

Una lezione di kamasutra[4]            

 La   coppa incastonata d’azzurro
aspettala
vicino alla fontana della sera e ai fiori di caprifoglio,
aspettala
con la pazienza del cavallo sellato,
aspettala
con il buon gusto del principe raffinato e bello,
aspettala
con sette cuscini pieni di nuvole leggere,
aspettala
con il fuoco dell’incenso femminile dappertutto,
aspettala
con il profumo maschile di sandalo sui dorsi dei cavalli,
aspettala
e non spazientirti se arriva in ritardo
aspettala
se arriva in anticipo
aspettala
e non spaventare gli uccelli sulle sue trecce
e aspettala
ché si sieda rilassata come un giardino in fiore,
e aspettala
ché respiri un’aria estranea al suo cuore,
e aspettala fino a che sollevi il suo vestito scoprendo le gambe
nuvola dopo nuvola,
e aspettala
e offrile l’acqua prima del vino e non
guardare il paio di pernici che le dormono sul petto,
e aspettala
e accarezza lentamente la sua mano
quando poggia la coppa sul marmo
come se sollevassi la rugiada per lei,
e aspettala
e parlale come il flauto
alla corda spaventata del violino,
come due testimoni di ciò che il domani vi prepara,
e aspettala
e leviga la sua notte anello dopo anello,
e aspettala
fino a che la notte non ti dica:
al mondo siete rimasti soltanto voi due.
Allora portala dolcemente alla tua morte desiderata
E aspettala!…

           Ed eccola l’altra componente della poesia di Darwishl’eros,come rapporto armonioso tra corpo, natura,tempo. I fondamenti dell’esistenza assurgono allora a valore assoluto. Siamo fuori dai tempi storici,dalle insensate accelerazioni dell’oggi e la struttura esortativa anaforica impreziosisce ancora più l’importanza della conquista,scandendo il rallentamento del tempo e inanellando una sequenza sfarzosa di immagini sfavillanti.
          C’è un’eco trobadorica dell’”amore lontano” di Jaufré Rudel [5]in questo canto dell’attesa. L’ambiente è quello “di là dal mare”con la fontana dai freschi zampilli,il giardino ombroso in fiore,i sette cuscini gonfi di nuvole leggere con i profumi d’incenso e di sandalo nell’aria e i cavalli bardati di selle e pazienza, dove l’amata abbia il tempo di accordare il suo respiro con un’aria estranea al suo cuore, dove il principe raffinato e bello non accarezzi con lo sguardo i suoi seni ambrati, ma sappia attendere che sia lei a mostrarsi. E sappia sfiorarle la mano con una carezza lieve e fresca come impalpabile rugiada e le parli con la voce vellutata e rasserenante del flauto fino a rendere loro due i soli testimoni pronti per affrontare il futuro del mondo. Un amore dove l’attesa e la ripetuta rinuncia sono la fiamma per accendere il  desiderio.
          Al polo opposto, i poeti israeliani contemporanei [6]rivelano nei loro testi un profondo coinvolgimento emotivo con la storia,la politica,la cultura nazionale del popolo ebraico. La loro produzione non aspira a immergersi nella parola fino a restarne sommersa. Ambisce piuttosto a scegliere parole che mostrino lo spessore delle cose,con una ricerca costante di adesione a tutte le pieghe dei toni,dei timbri,del lessico e del ritmo del parlato. E si capisce perché. Con duemila e più anni  di vita letteraria della lingua ebraica,il poeta israeliano oggi non può aspirare che a un’immersione liberatoria nella lingua della quotidianità. Questo non vuol dire,  però ,che la discontinuità sia totale. Un legame con quella tradizione plurimillenaria  permane. Se infatti il poeta israeliano oggi spesso tende a parlare di trascendenza vuota,quando  parla di Dio,ha tuttavia conservato il gusto dell’allusione biblica come tratto evidente dello stile ,comune alla poesia contemporanea come a quella medioevale -liturgica e secolare – ,dove era consueto quello stile a intarsio, quella pratica dell’intertesto che costituisce un’arte raffinata della citazione tanto cara a moderni maestri come Eliot e Pound.
         Ecco un esempio di Yehuda Amichai[7],dove affianca materiali dell’oggi, quali sentimenti e desideri ,alla citazione biblica,imprimendo al verso una tensione critica e un certo qual effetto di ironico disincanto.

Come l’uccello dei  cieli e la bestia dei campi,così voglio[8]

Amarti,così voglio che tu mi ami.
Ciò che nella bibbia fu malaugurio di triste fine,per noi è amore.
“Ma dunque fu sbranato”gridò Giacobbe quando gli portarono
La tunica del figlio Giuseppe lacera,grondante di sangue
“Una bestia feroce l’ha divorato” e tutto per amore,per amore!

          Quasi a equilibrare la presenza intrusiva e ossessiva della morte per via bellica e politica nella vita d’ogni giorno,il poeta israeliano parla molto anche di eros,il “dio straniero”cui anche la Bibbia dedicava “Il Cantico dei Cantici”.E il canto della sfera più intima degli affetti gode anche in Israele di vasta diffusione. Molti testi di maestri -  come Amichai e Guri – sono stati musicati per diventare canti estremamente popolari. Non si tratta di momenti di disimpegno o del risultato di un processo di spoliticizzazione in atto. Tutt’altro. In forme molto individualizzate,dalle sfere molto personali ed intime, affiora uno spirito critico,una netta,spesso violenta  opposizione  alle scelte della politica nazionale.
          Un autore - con Amichai – tra i più innovatori e influenti è Chaìm Guri[9], di cui proponiamo qui

Idillio[10]         

La mia estate fu d’uva e di fichi.
C’era il regno della luce sui campi arati,
sopra la benedizione della terra.
E c’era pure la giovane di Rmesh
Colei  che quasi non ha pari,
la reginetta di bellezza dei pozzi e dei frutteti.
Quella dagli occhi azzurri,
eredità crociate,a quanto pare.

La potevi solo indovinare attraverso i vestiti
Qualcosa di prezioso,di alluso come versi
Che non si spiegano tutti in una volta.
Intendo quella che con secchia e corda attinse per noi
Dalle buie profondità.

E come un velo di sposa saliva dalla valle la foschia.
Festeggiava il sole verso ovest
E ci attendevano i monti,grigiastri di lontananza.

Un grazie anche ai cani del villaggio,
che non ci puntarono chissà perché i calcagni,
mentre andavamo avanti,fra gli ulivi d’argento
fino a lontanare ,godendo come del beneficio del dubbio,

sulla via di Manara.

        Un languido, quasi nostalgico  paesaggio mediterraneo dell’ accoglienza, con tanto di uva e fichi, nonché ulivi dalla chioma d’argento a sottolineare la ragazza che ne fa parte, solare eppure segreta, semplice, all’apparenza, eppure capace di attingere nella più oscura profondità dell’essere, singolare reginetta di paese, dove anche i cani non azzannano i talloni costringendo alla fuga, ma lasciano procedere e allontanarsi attraverso gli ulivi, concedendo una fiducia sia pure un poco incerta.
Chaìm Guri è un poeta sempre molto interessante, dal percorso che evolve a rappresentare una forma di più magnanima autocoscienza nazionale. Altrove, sa far nascere in modo ancora più diretto, dall’intreccio di sfera pubblica e privata, uno stato d’animo in cui “la propria sembianza finisce per confondersi con quella del nemico, dove la sofferenza dell’altro non è che il simulacro della propria».[11]
         Ecco ora un poeta più giovane che rappresenta l’amore come un reticolo di instabili equilibri,all’interno della fragile realtà della coppia,dove il rapporto tra le due componenti appare come un continuo trovarsi per poi perdersi,a rappresentare  una condizione infelice per difficoltà a comunicare. Ori  Bernstein[12]:                          

Poesia Semplice[13]        

Crescono i coralli ogni giorno.
La tua carne si riduce.
Prima che ci circondi tutt’intorno
La polvere o il caldo di quest’unica terra
A noi consueta,consentimi soltanto
Di farti una carezza vana
Di spruzzarmi su di te come un’esile fontana
Di acqua o di luce.
Forse in selvagge città oscure 
Esistono figure
Di noi due più gagliarde.
Agli occhi tuoi gli stranieri
Sempre svelano misteri
E forze che non ho.
E prima che il tuo petto caschi,che il tuo occhio si offuschi
E che la polvere ti corra incontro,passeremo
Una tranquilla serata
In questa nostra patria bruciacchiata
In cui mi consentirai di calmarti
Con mano a te come il tuo corpo nota.

O ancora:

E tuttavia ti ho sognata[14]

A cavallo di una moto
Vestita di ciarpame scintillante e sulla faccia avevi
Una maschera d’oro come quella di Agamennone,
passavi con fracasso,gioiosa.

Non un sogno di morte,dal momento
Che le tue cosce abbracciavano voluttuose il veicolo
E una delle tue mani mi salutava
E la maschera sottile sventolava

Quasi respirasse per conto suo.

E tuttavia mi sei passata davanti,
galoppando spietata alle tue faccende,
e la strada alle tue spalle si riempiva tutta di polvere
e di avanzi del tuo odore e di galline in fuga.
      
     Con i poeti delle generazioni più recenti il paesaggio si fa urbano,con  interni. Il paesaggio e la natura,sia pure vissuti con il rimpianto del passato,scompaiono definitivamente. L’eros è molto più carnale,aggressivo,problematico e sofferto, all’interno di uno spazio “bruciacchiato”, rumoroso e pieno di polvere e di un tempo che corre via veloce e ci fa galoppare spietati e frettolosi agli impegni e rende presto il seno vizzo e lo sguardo velato dalla vecchiaia,senza aver avuto il tempo di rendersene conto . 
     Altra individualità,altra storia biografica quella di Ronny Someck[15].Nasce a Bagdad e a tre anni si trasferisce in Israele.Forse è in questa sua condizione di Israeliano d’Oriente,di appartenente ad una minoranza in patria, che si è formata la particolare sensibilità che lo spinge a interessarsi alla composita identità nazionale israeliana e a fargli affermare che “ciascuno ha un altrove da ricordare”.Canta la minimetropoli israeliana, dove anche gli intensi colori d’oriente si stemperano in un panorama urbano ormai omologato. E l’amore potrà realizzare il piacere d’un attimo,il tempo della speranza di procedere fino al semaforo dell’incrocio successivo,paghi di poter avanzare ancora sia pure di una piccolissima tappa.

Gelsomino -Poesia su carta vetrata [16]    

Fairùz alza le labbra
Al cielo
Perché ne piova gelsomino
Sopra quelli che una volta s’incontrarono
Ignorando d’amarsi.
Nella fiat di Muhàmmad l’ascolto
Nel mezzodì di via Ibn Gabiròl
Una cantante libanese canta nella sua macchina italiana
Di un poeta arabo di Bak’a Al Garbìa.

E il gelsomino?
Se cadrà giù dal cielo dell’Apocalisse
Per un attimo il semaforo
Si farà
Verde
Al prossimo incrocio.
       
        Diverse sono le soluzioni che emergono dalla trasformazione,impressa al linguaggio poetico in Israele, a partire dagli anni ’70 dalle forti individualità degli autori.
       Un esempio interessante è quello di Yitshak Laor[17] in:  
Silhouette.[18]  

Come un boa il tuo respiro è rimasto
a pelo dell’acqua scura, il tuo corpo
attraccato al mio che naviga o galleggia,io
mi aggrappo ai sussurri,la radio o un mormorio giunge
da fuori dalla strada accanto,forse litigano
o scherzano sulla gita del mattino,forse
qualcuno parla da solo e se ti sveglio(su’
 traduci)quanto in fretta ricorderai che ti ho ferita?In me,
per esempio,ogni rabbia è sfumata. Vago
nel buio,in cui nulla riconosco se non il tuo  respiro
il tuo corpo,un’oscura silhouette rimasta da quando spegnemmo la luce.

          Qui la precarietà si è eretta ad assoluto. E la serie di enjambements,[19] come le spire sinuose e soffocanti del boa,  avvolge il lettore e  lo stringe alla gola. Sembra mancargli il respiro. Il conseguente disorientamento lo  porta a rivivere una deriva sfilacciata di trafitture, che sfibrano la volontà. Non c’è più irritazione né amarezza. Soltanto un fatalistico,rassegnato lasciarsi andare. Sul lettore l’ effetto  del graffio di un ‘unghia che stride su un vetro.
          In conclusione, possiamo constatare che dalla stessa terra emergono anche le modalità poetiche in forte contrasto. Dall’assoluto del mito del poeta palestinese al particolare della dimensione quotidiana individuale dei poeti israeliani,per dire anch’essi del disagio esistenziale,ma,questa volta,iscritto nel tempo storico,contemporaneo.
        Mahmud Darwish viene a rappresentare il cittadino del mondo,l’astronauta che ha sperimentato l’orizzonte del cosmo,il cesellatore della parola per cantare l’Uomo in equilibrio con il mondo naturale e la sofferenza universale di chi ha dovuto recidere il legame con la propria terra e non ha potuto vivere pienamente l’amore e la fratellanza con i suoi simili. Visionarietà,ricerca sapienziale ed energia mitica connotano il registro alto della sua poesia.
        I poeti israeliani cantano anch’essi,con modalità personali diverse, il dolore e la sofferenza  – nella sfera privata –della vita di coppia,o le tensioni,i desideri e i sentimenti- nel contesto politico nazionale– per esprimere,in nome del loro radicato legame con il proprio paese,un’aspra critica alle scelte della politica nazionale,dando spesso una forza espressionistica alla fisicità delle cose comuni della vita di ogni giorno».
      ‘Davvero fantastico. E Darwish? Una vera scoperta. Come dice?
“aspettala /e non spaventare gli uccelli delle sue trecce …”
 Sì,credo di capire perché le sono sembrati così interessanti, che cosa ha colpito Zoé .’
          Intanto è diventato così scuro che il parco è scomparso al di là della cornice bianca della finestra, al di là delle leggere tende scostate. Solo la pioggia continua a segnare i vetri rabbrividendo ad ogni soffio di vento. I rumori della città sono lontani. La stanza di Gordon è immersa in un buio irreale dove i confini di tutte le cose si  sono persi. Fragranze di gelsomino, scalpitii di cavalle alla fonte, polvere grigia, succosi fichi e incongrue moto d’acciaio galleggiano nella sua testa.
        ‘No, neanche stasera uscirò. Ci sarà tempo … Ci sarà tempo.’




[1] Mahmud Darwish Mahmud Darwish nasce nel 1941 nel villaggio di al-Birwa, in Galilea, Palestina, oggi  distrutto . Nel 1948 - durante il primo conflitto arabo-israeliano - l'esercito di Israele scacciò i suoi abitanti  e lo rase  al suolo. I genitori di Mahmoud cercarono rifugio in Libano , ma riuscirono a  rientrare nel loro paese, illegalmente, l’anno successivo,diventato parte di Israele, i loro beni confiscati e alcun diritto di cittadinanza. Pubblicò la sua prima raccolta di poesie, Foglie d'Ulivo, nel 1964. Divennero famose alcune poesie che raccontano la condizione dolorosa e folle dell'esilio. La poesia di Darwish assumeva un ruolo di riferimento collettivo per la causa palestinese. Nel 1970 abbandonò definitivamente la Palestina/Israele per un periodo di studio in Unione Sovietica. Da allora trascorse la sua vita risiedendo per periodi diversi nelle principali città del mondo arabo: Il Cairo, Beirut, Amman. Dopo un periodo di esilio a Cipro, visse tra Beirut e Parigi. Lavorò anche al Cairo presso il quotidiano nazionale "al-Ahrām". La seconda metà degli anni ottanta furono l'epoca del suo maggiore impegno politico. Nel 1987 fu eletto nel Comitato Esecutivo dell'OLP. . Si dimise nel 1993, perché contrario agli accordi di Oslo. Mahmoud Darwish ha redatto il testo della Dichiarazione d'Indipendenza dello Stato Palestinese, documento promulgato nel 1988 e riconosciuto da diversi stati. Dopo 26 anni di esilio, ottenne un permesso per visitare la sua famiglia nello stato di Israele. E’ morto a Houston,Texas,USA, nel 2008, per le complicanze di un delicato intervento al cuore.
[2]Mahmud Darwish, “Canzone di nozze”, da  Il letto della straniera, Epochè ed., 2009.
[3] Cfr. Emmanuel Levinas. Filosofo contemporaneo, ebreo lituano naturalizzato francese.
[4] Ibidem.
[5] Trovatore provenzale del XII s.,  principe di Blaye, che cantò l’amore per la contessa di Tripoli di cui si era innamorato senza conoscerla, per i racconti meravigliosi che gliene avevano fatto  i pellegrini al loro ritorno da Antiochia. Il leitmotiv delle sue poesie è l’amore lontano, di là dal mare.
[6] Cfr.  Poeti Israeliani . A cura di Ariel Rathaus, Einaudi ed. 2007.
[7] Yehuda Amichai, pseudonimo di Ludwig Pfeuffer, nasce a  Würzburg, Germania,  nel 1921 e muore a Gerusalemme nel 2000.  Padre della produzione antiretorica avviata fin dagli anni ‘50 ,  promotore del riassetto sliricizzante della poesia israeliana contemporanea.
[8] Yehuda Amichai, “Come l’uccello dei cieli…”, in Poeti Israeliani, op.cit.
[9] Chaìm Guri nasce a Tel Aviv nel 1947.
[10]Chaim Guri, “Idillio”, in Poeti israeliani, op.cit.
[11] Cfr. “Il volto dell’Altro”in Emanuel Levinas.
[12] Ori Bernstein nasce a Tel Aviv nel 1936, figlio di un industriale. Ha studiato giurisprudenza all’Università Ebraica di Gerusalemme ed ha aperto uno studio legale a Tel Aviv nel 1960. Dal 1967 al 1990 è direttore generale del complesso industriale Amcor e contemporaneamente redattore di una collana per ragazzi di un’importante casa editrice israeliana. Ha insegnato scrittura creativa nelle università di Tel aviv e Beer Sheva. Ha diretto con Natan Zach la rivista letteraria Yochani e attualmente insegna Letteratura  Ebraica all’università Ben Gurion del Negev e continua la sua attività di legale. Ha pubblicato 13 volumi di poesie,un romanzo,una raccolta di saggi, un libro di viaggi e tre libri per bambini. Ha anche tradotto poesie italiane,francesi e inglesi in ebraico tra cui Une saison en l’enfer di Rimbaud e una raccolta di Yeats. Le sue poesie sono state tradotte in 15 lingue.
[13] Ori Bernstein,”Poesia semplice”, in Poeti Israeliani, op.cit..
[14]Ori Bernstein, “E tuttavia…”, ibidem.
[15] Ronny Someck nasce a Bagdad nel 1951. La famiglia si è trasferita in Israele quando aveva solo tre anni. Ha  studiato letteratura ebraica e filosofia all’Università di Tel Aviv e disegnato all’Accademia d’Arte Avni. Vive tuttora in Israele, dove  ha lavorato come maestro di strada, e abitualmente insegna letteratura e tiene laboratori di scrittura creativa.
[16] Ronny Someck,” Gelsomino…”, in Poeti israeliani,op.cit.
[17] Yitzhak Laor è nato nel 1948 a Padres Hannah, in Palestina, un anno prima che diventasse territorio israeliano. Lavora e scrive a Tel Aviv, come poeta, drammaturgo, romanziere. E' anche editorialista e critico letterario del prestigioso quotidiano Haaretz. Ha pubblicato una dozzina di volumi di poesia, romanzi, commedie e racconti, oltre ad alcuni saggi. Il suo lavoro è tradotto in più di dieci lingue, tra cui l'arabo. Nel 1972 ha scontato sei mesi di detenzione, per diserzione dalle armi e, negli anni '80, ebbe risonanza internazionale una sua poesia  in cui condannava la guerra dell'esercito israeliano in Libano. Per le sue opere  apertamente critiche nei confronti della politica israeliana è stato censurato e gli sono stati negati premi e riconoscimenti. Nel 2007 denuncia la politica militare e oppressiva di Israele verso i Palestinesi, la strumentalizzazione propagandistica della stessa Shoah in funzione anti-islamica e anti araba. Secondo Laor, la responsabilità della propaganda ipocrita e bellicosa del suo paese ricade anche su alcuni intellettuali israeliani che si presentano come "pacifisti", quali David Grossman, Amos Oz, Abraham B. Yeoshuah. 
[18] Yitshak Laor,” Silhouette”, in Poeti israeliani, op.cit.
[19] Figura metrica per cui la fine del verso non coincide con la fine di una frase o di una parte di essa; l’enunciato che continua nel verso seguente provoca l’enjambement.

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