La passante.1.Charles Baudelaire
La passante di Baudelaire
inaugura la sequenza delle figure femminili che la poesia e il romanzo
mostreranno sul fondo della folla cittadina ,dalla “fuggitiva”Albertine di
Proust alla Nadja di Breton,alla Passante di Campana:insorgenza di un’alterità
fatale ,di una bellezza che contraddice l’anonimia,di un enigma che si staglia
contro la ripetizione del già noto .
Les Fleurs
du mal de Charles Baudelaire
À une passante.
Larue assourdissante autour
de moi hurlait.
Longue,mince,en grand
deuil,douleur majestueuse,
une femme passa,d’une main
fastueuse
soulevant,balançant le feston
e t l’ourlet;
Agile et noble avec sa
jambe de statue.
Moi,je buvais,crispé comme
un extravagant,
Dans son oeil,ciel livide
où germe l’ouragan,
La douceur qui fascine et
le plaisir qui tue.
Un éclair … puis la nuit! –
Fugitive beauté
Dont le regard m’a fait
soudainement renaître,
Ne te verrai-je plus que
dans l’éternité?
Ailleurs,bien loin d’ici!
Trop tard! Jamais peut-être!
Car j’ignore o tu fuis,tu
ne sais où je vais,
Ô toi que j’eusse aimée,
ô toi qui le savais!
La strada era assordante,urlava
tutt’intorno.
Alta ed esile,in lutto
stretto,regina dolorosa,
Una donna passò,con mano
fastosa
Sollevando or le trine ora
della veste le balze;
Agile e nobile nelle gambe
una grazia statuaria,
io bevevo ,stranito come un
ossesso,
negli occhi suoi ,livido
cielo che annuncia l’uragano
la dolcezza che incanta e
il piacere che uccide.
Un lampo … poi il buio! –
Beltà fuggevole
che col suo sguardo la vita
subito m’a ridato ,
non ti rivedrò più che
nell’eternità?
Altrove,molto lontano da
qui!Troppo tardi!Forse mai!
Perché io ignoro dove
fuggi,tu non sai dove vado,
Io t’avrei certo amato,e tu
certo lo sai!
Il “lampo” – l’ éclair - degli occhi segna il salto
dall’anonimia all’incontro. In quel lampo la luce di un’apparizione inattesa,
sorgente di stupore. “Un lampo…poi la notte!”. In questo accostamento – il
lampo, la notte - sono messi a confronto la luce e l’oscurità, la
presenza e l’assenza, l’apparizione e il suo svanire. Sullo sfondo c’è il
passaggio della folla, e il lampo cancella la folla, abolisce di colpo
l’anonimia, e mostra l’istante, il tempo istantaneo, quell’istante che la
fotografia, la nuova arte della modernità, cattura e fissa in immagine. La
fotografia sulla quale Baudelaire è stato tra i primi a scrivere. Insomma
quell’éclair è analogo al lampo di luce improvvisa che illumina il soggetto del
ritratto e “impressiona” la lastra. Per il poeta la lastra è la sua
interiorità.
Nella notte che sopravviene, il turbamento provocato
dall’immagine si trasforma in rinascita, il fuggitivo si trasforma in una
presenza da custodire oltre il suo stesso dileguare, oltre la sua sparizione.
La passante appartiene ormai all’ interiorità del poeta. Resta con lui, pur
essendo già stata inghiottita dalla folla. È la nuova presenza. È l’incontro che
solo la poesia può preservare nel suo proprio tempo. E a noi, oggi, di quel
fluire della folla in una strada parigina resta quell’immagine. La passante ha
ora, per il poeta, una sua singolarità e prossimità. E infatti compare
nella poesia il tu: “Non so dove tu fuggi, tu non sai dove vado”. C’è la
ferita, ora, del reciproco allontanarsi, si affaccia il profilo di una
lontananza estrema, irrimediabile.
Nel cuore dell’incontro, nel lampo degli
occhi, si situa già un addio. E tuttavia proprio in quel momento
prende campo l’esperienza forte del tu, un tu che torna rafforzato e ripetuto
nell’ultimo verso : Ô toi que j’eusse aimé, ô toi
qui le savais. “Io t’avrei certo amato, e tu certo lo sai”. È messa
in scena qui l’esperienza di un amore consapevole che l’incontro è avvenuto
anche se non ha avuto nessuno svolgimento reale. Un incontro che allo stesso
tempo ha l’energia di quel che è mancato e la forza del veramente accaduto. È
l’approdo di una conoscenza scaturita, in un lampo, in un éclair, nel mare
della folla. Si tratta di un incontro che vive solo in un’altra dimensione .
Nella dimensione della poesia. La quale, secondo il giovane Baudelaire, “è quel
che c’è di più reale: essa è completamente vera soltanto in un altro mondo”. Il
lampo della passante è la poesia stessa. Che porta la sparizione di una figura,
e di un istante, in un nuovo tempo, in un nuovo orizzonte.
Dove è custodito quel che più non c’è, dove è vero quel che non è
accaduto. La poesia come resistenza all’oblio[1]:
La passante di Baudelaire ci dice certo dell’epoca, del tempo nuovo
metropolitano, della Parigi dei grandi boulevards di cui ci narrerà poi Proust,
l’autore, appunto, della Fuggitiva.
La passante di Baudelaire ci dice dell’amore,
dell’amore come presenza che solo nell’interiorità riesce a custodire il
permanente stupore e la sua bellezza. E ci dice anche della poesia, del suo
tempo altro che preserva e fa rivivere, fuori dall’oblio, quel che è accaduto e
quel che non è accaduto, l’inatteso e l’impossibile. Dopo Baudelaire altre
passanti abiteranno la poesia moderna: quelle di Campana, di Sbarbaro, di
Caproni, di Machado,di Darwich. Figure che diranno del patto fortissimo che la
poesia intrattiene con l’altrove e con il mai più.
Dalla passante baudelairiana alla femme qui
passe di Dino Campana,alla fuggitiva di Proust,alla Nadja di Breton, di Sbarbaro, di Caproni, di Machado ,di Darwich insomma fino alle passanti di De André e di Brassens:
l’amore letterario dell’età moderna si definisce spesso nell’assenza e
nella lontananza, si fa eco di una distanza incolmabile; non la nostalgia
di un’ amata lontana bensì il movimento contrario: l’immaginazione di un evento
mai accaduto, di un legame impossibile
con una donna di cui si intravvede la presenza e che però subito scompare,
passa, svanisce in mezzo al frastuono della vita moderna, lasciando segni
indelebili più di qualsiasi relazione effettivamente vissuta. Figure tutte che diranno di quel patto fortissimo che
la poesia suole intrattenere .
Il nuovo amor lontano, di provenzale memoria, racconta insomma del tempo di un amore mai vissuto, eppure in
grado di scuotere il corpo più di ogni altro coltivato amore, di un amore
travolgente proprio nella sua inafferrabilità . Esperienza che unisce insieme
paradossalmente il vuoto e la pienezza, l’irraggiungibile e il
prossimo. Il poeta si trova, dunque, diviso tra un qui, che è
quello del desiderio che fa della mancanza un pensiero d’amore e
un altrove compensatorio, il luogo della donna fuggitiva, inarrivabile.
La parola poetica nasce
proprio nel momento della perdita, di quello scarto che può crearsi tra il
sapere di una esistenza felice e il sapere dell’impossibilità di
sperimentarla. Dietro gli stilemi della passione amorosa, l’amore
lontano cela la fascinazione per la verità suprema, la conoscenza: il poeta
concentra sulla figura femminile evanescente la sua aspirazione all’infinito;
essa gli appare come la testimonianza di ciò che va oltre, una sorta di epifania
celeste, una seducente forma femminile di umanizzazione dell’Assoluto, disceso tra
gli uomini.
Rispetto alla
protagonista de Alla sua donna di Giacomo Leopardi, la passante moderna, pur essendo evocatrice di una
esistenza superiore, si insedia nel tempo storico, si riveste degli
strati esteriori propri del mondo moderno, sceglie una via cittadina
dove rivelarsi.
Il milieu urbano
di fine Ottocento, inizio Novecento è la cornice naturale dell’apparizione
della novella Beatrice che in mezzo alla folla, talvolta descritta come
disumanizzata, rende cosciente il poeta della propria condizione di esiliato,
infelice, straniero, strappato a quella vie antérieure di cui la
donna è un pungente “ricordo” non vissuto, lampo in mezzo
all’oscurità. E’ il motivo degli occhi, infatti, a caratterizzare molte di
queste figure femminili, a cominciare dalla “madre” di tutte, la passante di
Charles Baudelaire.
In mezzo al fragore
assordante della città, il caso offre al poeta la possibilità di
estrarre dalla folla una immagine fugace, di aprire un varco tra le brume
metropolitane e vivere per un istante un’esperienza rivelatrice.
Lo sguardo
della Lei di Baudelaire, che è descritta come una imponente divinità
mitologica, è uno sguardo carico di sofferenza, e insieme dolcissimo: dice
della sorte irrimediabile in cui è caduto il poeta, del resto è come l’intera
umanità, ma al contempo fa trasparire la possibilità di una rinascita, che
subito tuttavia svanisce; proprio nell’attimo in cui la donna incrocia lo
sguardo del poeta, ecco che è già passata. Si tratta
di un evento
drammatico perché irreversibile: “j’ignore où tu fuis”; egli
sa che non potrà rivederla ,ma
non per questo
è meno coinvolto dall’eccezionale esperienza.
[1]Un “pensare
contro l’oblio”: un’espressione, questa, che Edmond Jabès riferisce in un suo
scritto alla poesia dell’amico Paul Celan.
Nel mio blog Marielbrubazar,blogspot.com
RispondiEliminaho cominciato a postare il racconto "SQUARCI DI IERI",che continuerà per qualche tempo con altri squarci.
Se ti interessa anche la narrativa,puoi provare a curiosare...
Buona lettura!