mercoledì 8 novembre 2017

La passante.1.Charles Baudelaire



La passante.1.Charles Baudelaire


La passante di Baudelaire inaugura la sequenza delle figure femminili che la poesia e il romanzo mostreranno sul fondo della folla cittadina ,dalla “fuggitiva”Albertine di Proust alla Nadja di Breton,alla Passante di Campana:insorgenza di un’alterità fatale ,di una bellezza che contraddice l’anonimia,di un enigma che si staglia contro la ripetizione del già noto .



Les Fleurs du mal de Charles Baudelaire

À une passante.

Larue assourdissante autour de moi hurlait.

Longue,mince,en grand deuil,douleur majestueuse,

une femme passa,d’une main fastueuse

soulevant,balançant le feston e t l’ourlet;



Agile et noble avec sa jambe de statue.

Moi,je buvais,crispé comme un extravagant,

Dans son oeil,ciel livide où germe l’ouragan,

La douceur qui fascine et le plaisir  qui tue.



Un éclair … puis la nuit! – Fugitive beauté

Dont le regard m’a fait soudainement  renaître,

Ne te verrai-je plus que dans l’éternité?



Ailleurs,bien loin d’ici! Trop tard! Jamais peut-être!

Car j’ignore o tu fuis,tu ne sais où je vais,

Ô toi que j’eusse aimée, ô toi qui le savais!





La strada era assordante,urlava tutt’intorno.

Alta ed esile,in lutto stretto,regina dolorosa,

Una donna passò,con mano fastosa

Sollevando or le trine ora della veste le balze;



Agile e nobile nelle gambe una grazia statuaria,

io bevevo ,stranito come un ossesso,

negli occhi suoi ,livido cielo che annuncia l’uragano

la dolcezza che incanta e il piacere che uccide.



Un lampo … poi il buio! – Beltà fuggevole

che col suo sguardo la vita subito m’a ridato ,

non ti rivedrò più che nell’eternità?



Altrove,molto lontano da qui!Troppo tardi!Forse mai!

Perché io ignoro dove fuggi,tu non sai dove vado,

Io t’avrei certo amato,e tu certo lo sai!



Il “lampo” – l’ éclair - degli occhi segna il salto dall’anonimia all’incontro. In quel lampo la luce di un’apparizione inattesa, sorgente di stupore. “Un lampo…poi la notte!”. In questo accostamento – il lampo, la notte -  sono messi a confronto la luce e l’oscurità, la presenza e l’assenza, l’apparizione e il suo svanire. Sullo sfondo c’è  il passaggio della folla, e il lampo cancella la folla, abolisce di colpo l’anonimia, e mostra l’istante, il tempo istantaneo, quell’istante che la fotografia, la nuova arte della modernità, cattura e fissa in immagine. La fotografia sulla quale Baudelaire è stato tra i primi a scrivere. Insomma quell’éclair è analogo al lampo di luce improvvisa che illumina il soggetto del ritratto e “impressiona” la lastra. Per il poeta la lastra è la sua interiorità.

Nella notte che sopravviene, il turbamento provocato dall’immagine si trasforma in rinascita, il fuggitivo si trasforma in una presenza da custodire oltre il suo stesso dileguare, oltre la sua sparizione. La passante appartiene ormai all’ interiorità del poeta. Resta con lui, pur essendo già stata inghiottita dalla folla. È la nuova presenza. È l’incontro che solo la poesia può preservare nel suo proprio tempo. E a noi, oggi, di quel fluire della folla in una strada parigina resta quell’immagine. La passante ha ora, per il poeta,  una sua singolarità e prossimità. E infatti compare nella poesia il tu: “Non so dove tu fuggi, tu non sai dove vado”.  C’è la ferita, ora, del reciproco allontanarsi, si  affaccia il profilo di una lontananza estrema, irrimediabile.

 Nel cuore dell’incontro, nel lampo degli occhi,  si situa già  un addio. E tuttavia proprio in quel momento prende campo l’esperienza forte del tu, un tu che torna rafforzato e ripetuto nell’ultimo verso : Ô toi que j’eusse aimé, ô toi qui le savais. “Io t’avrei certo amato, e tu certo lo sai”. È messa in scena qui l’esperienza di un amore consapevole che l’incontro è avvenuto anche se non ha avuto nessuno svolgimento reale. Un incontro che allo stesso tempo ha l’energia di quel che è mancato e la forza del veramente accaduto. È l’approdo di una conoscenza  scaturita, in un lampo, in un éclair, nel mare della folla. Si tratta di un incontro che vive solo in un’altra dimensione . Nella dimensione della poesia. La quale, secondo il giovane Baudelaire, “è quel che c’è di più reale: essa è completamente vera soltanto in un altro mondo”. Il lampo della passante è la poesia stessa. Che porta la sparizione di una figura, e  di un istante,  in un nuovo tempo, in un  nuovo orizzonte. Dove è  custodito quel che più non c’è, dove è vero  quel che non è accaduto. La poesia come resistenza all’oblio[1]: La passante di Baudelaire ci dice certo dell’epoca, del tempo nuovo metropolitano, della Parigi dei grandi boulevards di cui ci narrerà poi Proust, l’autore, appunto, della Fuggitiva.

 La passante di Baudelaire ci dice dell’amore, dell’amore come presenza che solo nell’interiorità riesce a custodire il permanente stupore e la sua bellezza. E ci dice anche della poesia, del suo tempo altro che preserva e fa rivivere, fuori dall’oblio, quel che è accaduto e quel che non è accaduto, l’inatteso e l’impossibile. Dopo Baudelaire altre passanti abiteranno la poesia moderna: quelle di Campana, di Sbarbaro, di Caproni, di Machado,di Darwich. Figure che diranno del patto fortissimo che la poesia intrattiene con l’altrove e con il mai più.

Dalla passante baudelairiana alla femme qui passe di Dino Campana,alla fuggitiva di Proust,alla Nadja di Breton, di Sbarbaro, di Caproni, di Machado ,di Darwich insomma fino  alle passanti di De André e di Brassens: l’amore letterario dell’età moderna si definisce spesso nell’assenza e nella lontananza, si fa eco di una distanza incolmabile; non la nostalgia di un’ amata lontana bensì il movimento contrario: l’immaginazione di un evento mai accaduto, di un legame impossibile con una donna di cui si intravvede la presenza e che però subito scompare, passa, svanisce in mezzo al frastuono della vita moderna, lasciando segni indelebili più di qualsiasi relazione effettivamente vissuta. Figure tutte che diranno di quel patto fortissimo che la poesia suole intrattenere .

Il nuovo amor lontano, di provenzale memoria, racconta insomma  del tempo di un amore mai vissuto, eppure in grado di scuotere il corpo più di ogni altro coltivato amore, di un amore travolgente proprio nella sua inafferrabilità . Esperienza che unisce insieme paradossalmente il vuoto e la pienezza, l’irraggiungibile e il prossimo. Il poeta si trova, dunque, diviso tra un qui, che è quello del desiderio che fa della mancanza  un  pensiero d’amore e un altrove compensatorio, il luogo della donna fuggitiva, inarrivabile.

La parola poetica nasce proprio nel momento della perdita, di quello scarto che può crearsi tra il sapere di una esistenza felice e il sapere dell’impossibilità di sperimentarla. Dietro gli stilemi della passione amorosa, l’amore lontano cela la fascinazione per la verità suprema, la conoscenza: il poeta concentra sulla figura femminile evanescente la sua aspirazione all’infinito; essa gli appare come la testimonianza di ciò che va oltre, una sorta di epifania celeste, una seducente forma femminile di umanizzazione dell’Assoluto, disceso tra gli uomini.

Rispetto alla protagonista de Alla sua donna di Giacomo Leopardi, la passante moderna, pur essendo evocatrice di una esistenza superiore, si insedia nel tempo storico, si riveste  degli strati esteriori propri del mondo moderno, sceglie una via cittadina dove rivelarsi.

Il milieu urbano di fine Ottocento, inizio Novecento è la cornice naturale dell’apparizione della novella Beatrice che in mezzo alla folla, talvolta descritta come disumanizzata, rende cosciente il poeta della propria condizione di esiliato, infelice, straniero, strappato a quella vie antérieure di cui la donna è un pungente “ricordo” non vissuto, lampo in mezzo all’oscurità. E’ il motivo degli occhi, infatti, a caratterizzare molte di queste figure femminili, a cominciare dalla “madre” di tutte, la passante di Charles Baudelaire.

In mezzo al fragore assordante della città, il caso offre al poeta la possibilità di estrarre dalla folla una immagine fugace, di aprire un varco tra le brume metropolitane e vivere per un istante un’esperienza rivelatrice.

Lo sguardo della Lei di Baudelaire, che è descritta come una imponente divinità mitologica, è uno sguardo carico di sofferenza, e insieme dolcissimo: dice della sorte irrimediabile in cui è caduto il poeta, del resto è come l’intera umanità, ma al contempo fa trasparire la possibilità di una rinascita, che subito tuttavia svanisce; proprio nell’attimo in cui la donna incrocia lo sguardo del poeta, ecco che è già passata. Si tratta

di un evento drammatico perché irreversibile: “j’ignore où tu fuis; egli sa che non potrà rivederla ,ma

non per questo è meno coinvolto dall’eccezionale esperienza.






[1]Un “pensare contro l’oblio”: un’espressione, questa, che Edmond Jabès riferisce in un suo scritto alla poesia dell’amico Paul Celan.

1 commento:

  1. Nel mio blog Marielbrubazar,blogspot.com
    ho cominciato a postare il racconto "SQUARCI DI IERI",che continuerà per qualche tempo con altri squarci.
    Se ti interessa anche la narrativa,puoi provare a curiosare...
    Buona lettura!

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