15.UNA SCOPERTA DI ZOÉ
Caro Gordon,
conosci, non è vero?, quella
strana sensazione del ritorno a casa, quando ancora non ci si è completamente
tolti di dosso gli odori,i suoni e le immagini del posto che abbiamo lasciato
e, almeno per un po’, ci si sente di essere non più lì e non ancora qui?Ecco,mi
sento proprio così in questi giorni.
E tu, orso in letargo nella
tana londinese,come stai dopo i meritati successi senesi? A proposito:belle le
poesie che mi hai mandato. Grazie! Quell’amore giovane e allegro dei poeti di
Liverpool riempie di tenerezza e di felicità!
Mi dici nella mail che forse mi dovrei fermare. Ah,no!Sono sicura che
non si tratta di questo: io, ancora, non voglio che il tempo passi e mi superi nella sua folle corsa. Dunque,
provo a muovermi più veloce di lui. Altro che pace zen!
Però,è vero,sto meglio,molto meglio,caro amico,e,ormai rinvigorita,voglio
disturbare la tua felice noia.
Navigando su Internet l’altra sera,ho scovato nel sito del Centro Studi
della Cittadella di Assisi il resoconto su una iniziativa per la costruzione di
una cultura di pace. In questa occasione
si è aperto un dibattito sui poeti palestinesi e israeliani contemporanei e i materiali mi sono parsi
così interessanti che ho pensato, allora, di sottoporli al tuo giudizio. Perciò
ti spedisco uno stralcio della recensione con i testi citati in traduzione
italiana. Che ne pensi? Fammi sapere. Magari potrebbero rientrare tra i testi del nostro gioco …
A Natale raggiungerò di
nuovo mia madre in Provenza. Partirò con un po’ di libri e il buon proposito di
concludere qualche scritto che ho lasciato a metà.
Chissà,magari riusciremo a vederci nel nuovo anno. Qui o da qualche altra
parte. Quanto durerà il tuo letargo londinese?
Bisous ,Zoé.
E Gordon,appena ricevuta la mail
dall’amica,apre, curioso, l’allegato e, subito,accoglie la proposta di lettura.
‘È il grande poeta Mahmud
Darwish[1] a
rappresentare da solo la Palestina con i suoi poemi. È un grande visionario a
cui Marcel Khalife dedicò tanta musica e un affetto condiviso da milioni di
Arabi “dall’oceano al golfo”come si suole dire laggiù.
La sua è una poesia di
parole dove la terra natale martoriata e quella mutevole dell’esilio alimentano
immagini che si inseguono e si accavallano come fiammate improvvise,come
folgorazioni di luce da cui il lettore è abbagliato. Una poesia che,anche nella
traduzione,conserva il fascino straordinario di quelle parole che formano un
turbinare di miraggi leggeri e splendenti come la levitazione dei Dervisci
durante le loro danze mistiche,anche se va inevitabilmente perduto il senso
originario del ritmo e del suono,fondamentali alla loro natura di canti.
Due i testi che qui
riproponiamo ai nostri bloggers.
Sono venuta da te come
gli astronauti,
di pianeta in pianeta.
La mia anima
si apre dalle tue
dieci dita sul mio corpo.
Prendimi a te, porta
la colomba
ai confini del grido sui tuoi
fianchi:l’orizzonte
e l’eco. Lascia i
cavalli galoppare invano
dietro di me,ché non
vedo ancora la mia immagine
nella loro acqua … Non
vedo nessuno,
nessuno,non ti vedo.
Che ne hai fatto
della mia libertà?Chi
sono dietro
le mura della
città?Non una madre a strofinare
i miei lunghi capelli
con il suo eterno henné
non una sorella che li intrecci. Chi sono fuori dalle mura,
tra i campi neutri e
un cielo grigio?Sii
mia madre nel paese
degli stranieri e portami
dolcemente verso ciò
che sarò domani.
Chi sarò
domani?Nascerò dalla tua
Costola,donna
senz’altra preoccupazione
Che decorare il tuo
universo?O piangerò laggiù
Una pietra che guidava
le mie nuvole all’acqua del tuo pozzo?
Portami ai confini
Della terra prima che
il mattino spunti su una luna
In lacrime di sangue
nel letto. Portami dolcemente
Come la stella porta i
sognatori, invano
E invano.
Invano guardo dietro
ai monti di Moab
Nessun vento a
riportare il vestito da sposa. Ti amo,
ma il mio cuore vibra
del ritorno dell’eco e langue
per un altro iris. C’è
tristezza più ambigua
per l’anima della
gioia della ragazza
per le sue nozze? E ti
amo benché mi ricordi
di ieri e mi ricordi
di aver dimenticato
l’eco nell’eco.
Eco nell’eco,sono
venuta da te
Come il nome,che passa
di essere in essere.
Poco fa eravamo due
stranieri in due paesi lontani,
cosa sarò dopodomani quando sarò due?
Che ne hai fatto della
mia libertà?
Più ti temo più ti
avvicino,
e non ho meriti,amore
mio straniero,
se non la mia
passione.
Sii dunque una volpe
buona tra le mie vigne
E con il verde dei
tuoi occhi fissa il mio dolore.
Non tornerò al mio
nome e alle mie steppe
Mai più
Mai più.
Il tema del dépaysement subito nell’incipit.
Il faticoso cammino per tappe d’avvicinamento alla meta della sposa
promessa,che è,allo stesso tempo,il sofferto allontanamento dal proprio paese –
come un astronauta che vaga nel cosmo – procede parallelamente con il dipanarsi
del groviglio di dubbi che provoca il senso di identità perduto. La giovane non
vede ancora la sua immagine riflessa in un paese dai campi non familiari e dal
cielo grigio e rimprovera il suo amato di essere all’origine dello smarrimento
dell’aspetto privato dell’immagine di sé,della perdita dei legami,degli
affetti,della famiglia, che si riconoscevano nelle semplici,rassicuranti
pratiche quotidiane d’un tempo. Ed ecco allora l’invocazione perché il suo
sposo sia materno in terra straniera e la guidi ai confini del sogno prima che
giunga l’alba a fissare la sua identità futura. Non vuole essere una sposa che
sia l’ornamento aggiunto all’universo di lui né quella che altrove avrebbe
potuto essere la superficie riflettente che avrebbe contribuito con l’acqua
delle sue nuvole ad arricchire il suo pozzo. Quali sembianze assumerà inoltre
il suo aspetto fuori dalle mura? L’amore della giovane sposa è appassionato,ma
un velo inconsueto attenua lo splendore della gioia per le sue nozze. È il
ricordo malinconico per ciò che si è cancellato. L’amore è allora ancora più
prezioso e forte perché resiste allo struggente ricordo del passato e al
ricordo della forza necessaria a volerlo cancellare. I due stranieri, che erano
in due paesi lontani, stanno per spogliarsi delle loro identità individuali per
fonderle in una? Oppure, sarà soltanto la giovane donna che dovrà trasformare
la sua unicità plasmandola sulla seconda, su quella di lui? Avrà così esposto
pericolosamente al rischio la sua libertà?Ma questi dubbi,queste inquietudini
sono fonti di conoscenza e di avvicinamento al “volto dell’Altro”[3].La passione sincera che si schiude alle sue
carezze rende più sicura la determinazione a non tornare sui suoi passi. Mai
più si riapproprierà del suo nome, mai più tornerà a calcare la sua terra. I
due nuovi fondamenti del sé saranno indissolubilmente legati a quelli dello
sposo.
La
coppa incastonata d’azzurro
aspettala
vicino alla fontana
della sera e ai fiori di caprifoglio,
aspettala
con la pazienza del
cavallo sellato,
aspettala
con il buon gusto del
principe raffinato e bello,
aspettala
con sette cuscini
pieni di nuvole leggere,
aspettala
con il fuoco
dell’incenso femminile dappertutto,
aspettala
con il profumo
maschile di sandalo sui dorsi dei cavalli,
aspettala
e non spazientirti se
arriva in ritardo
aspettala
se arriva in anticipo
aspettala
e non spaventare gli
uccelli sulle sue trecce
e aspettala
ché si sieda rilassata
come un giardino in fiore,
e aspettala
ché respiri un’aria
estranea al suo cuore,
e aspettala fino a che
sollevi il suo vestito scoprendo le gambe
nuvola dopo nuvola,
e aspettala
e offrile l’acqua
prima del vino e non
guardare il paio di
pernici che le dormono sul petto,
e aspettala
e accarezza lentamente
la sua mano
quando poggia la coppa
sul marmo
come se sollevassi la
rugiada per lei,
e aspettala
e parlale come il
flauto
alla corda spaventata
del violino,
come due testimoni di
ciò che il domani vi prepara,
e aspettala
e leviga la sua notte
anello dopo anello,
e aspettala
fino a che la notte
non ti dica:
al mondo siete rimasti
soltanto voi due.
Allora portala
dolcemente alla tua morte desiderata
E aspettala!…
Ed eccola l’altra
componente della poesia di Darwishl’eros,come rapporto armonioso tra corpo, natura,tempo.
I fondamenti dell’esistenza assurgono allora a valore assoluto. Siamo fuori dai
tempi storici,dalle insensate accelerazioni dell’oggi e la struttura esortativa
anaforica impreziosisce ancora più l’importanza della conquista,scandendo il
rallentamento del tempo e inanellando una sequenza sfarzosa di immagini
sfavillanti.
C’è un’eco trobadorica
dell’”amore lontano” di Jaufré Rudel [5]in questo canto dell’attesa. L’ambiente è quello
“di là dal mare”con la fontana dai freschi zampilli,il giardino ombroso in fiore,i
sette cuscini gonfi di nuvole leggere con i profumi d’incenso e di sandalo
nell’aria e i cavalli bardati di selle e pazienza, dove l’amata abbia il tempo
di accordare il suo respiro con un’aria estranea al suo cuore, dove il principe
raffinato e bello non accarezzi con lo sguardo i suoi seni ambrati, ma sappia
attendere che sia lei a mostrarsi. E sappia sfiorarle la mano con una carezza
lieve e fresca come impalpabile rugiada e le parli con la voce vellutata e
rasserenante del flauto fino a rendere loro due i soli testimoni pronti per
affrontare il futuro del mondo. Un amore dove l’attesa e la ripetuta rinuncia
sono la fiamma per accendere il
desiderio.
Al polo opposto, i poeti
israeliani contemporanei [6]rivelano
nei loro testi un profondo coinvolgimento emotivo con la storia,la politica,la
cultura nazionale del popolo ebraico. La loro produzione non aspira a
immergersi nella parola fino a restarne sommersa. Ambisce piuttosto a scegliere
parole che mostrino lo spessore delle cose,con una ricerca costante di adesione
a tutte le pieghe dei toni,dei timbri,del lessico e del ritmo del parlato. E si
capisce perché. Con duemila e più anni
di vita letteraria della lingua ebraica,il poeta israeliano oggi non può
aspirare che a un’immersione liberatoria nella lingua della quotidianità.
Questo non vuol dire, però ,che la
discontinuità sia totale. Un legame con quella tradizione plurimillenaria permane. Se infatti il poeta israeliano oggi
spesso tende a parlare di trascendenza vuota,quando parla di Dio,ha tuttavia conservato il gusto
dell’allusione biblica come tratto evidente dello stile ,comune alla poesia
contemporanea come a quella medioevale -liturgica e secolare – ,dove era
consueto quello stile a intarsio, quella pratica dell’intertesto che
costituisce un’arte raffinata della citazione tanto cara a moderni maestri come
Eliot e Pound.
Ecco un esempio di Yehuda
Amichai[7],dove
affianca materiali dell’oggi, quali sentimenti e desideri ,alla citazione biblica,imprimendo
al verso una tensione critica e un certo qual effetto di ironico disincanto.
Come l’uccello
dei cieli e la bestia dei campi,così
voglio[8]
Amarti,così voglio che
tu mi ami.
Ciò che nella bibbia
fu malaugurio di triste fine,per noi è amore.
“Ma dunque fu
sbranato”gridò Giacobbe quando gli portarono
La tunica del figlio
Giuseppe lacera,grondante di sangue
“Una bestia feroce
l’ha divorato” e tutto per amore,per amore!
Quasi a equilibrare la
presenza intrusiva e ossessiva della morte per via bellica e politica nella
vita d’ogni giorno,il poeta israeliano parla molto anche di eros,il “dio
straniero”cui anche la Bibbia dedicava “Il Cantico dei Cantici”.E il canto
della sfera più intima degli affetti gode anche in Israele di vasta diffusione.
Molti testi di maestri - come Amichai e
Guri – sono stati musicati per diventare canti estremamente popolari. Non si
tratta di momenti di disimpegno o del risultato di un processo di
spoliticizzazione in atto. Tutt’altro. In forme molto individualizzate,dalle
sfere molto personali ed intime, affiora uno spirito critico,una netta,spesso
violenta opposizione alle scelte della politica nazionale.
Un autore - con Amichai –
tra i più innovatori e influenti è Chaìm Guri[9], di
cui proponiamo qui
La mia estate fu d’uva
e di fichi.
C’era il regno della
luce sui campi arati,
sopra la benedizione
della terra.
E c’era pure la
giovane di Rmesh
Colei che quasi non ha pari,
la reginetta di
bellezza dei pozzi e dei frutteti.
Quella dagli occhi
azzurri,
eredità crociate,a
quanto pare.
La potevi solo
indovinare attraverso i vestiti
Qualcosa di
prezioso,di alluso come versi
Che non si spiegano
tutti in una volta.
Intendo quella che con
secchia e corda attinse per noi
Dalle buie profondità.
E come un velo di
sposa saliva dalla valle la foschia.
Festeggiava il sole
verso ovest
E ci attendevano i
monti,grigiastri di lontananza.
Un grazie anche ai
cani del villaggio,
che non ci puntarono
chissà perché i calcagni,
mentre andavamo
avanti,fra gli ulivi d’argento
fino a lontanare
,godendo come del beneficio del dubbio,
sulla via di Manara.
Un languido, quasi
nostalgico paesaggio mediterraneo dell’
accoglienza, con tanto di uva e fichi, nonché ulivi dalla chioma d’argento a sottolineare
la ragazza che ne fa parte, solare eppure segreta, semplice, all’apparenza, eppure
capace di attingere nella più oscura profondità dell’essere, singolare
reginetta di paese, dove anche i cani non azzannano i talloni costringendo alla
fuga, ma lasciano procedere e allontanarsi attraverso gli ulivi, concedendo una
fiducia sia pure un poco incerta.
Chaìm Guri è un poeta sempre molto interessante, dal percorso che evolve a
rappresentare una forma di più magnanima autocoscienza nazionale. Altrove, sa
far nascere in modo ancora più diretto, dall’intreccio di sfera pubblica e
privata, uno stato d’animo in cui “la propria sembianza finisce per confondersi
con quella del nemico, dove la sofferenza dell’altro non è che il simulacro
della propria».[11]
Ecco ora un poeta più giovane che
rappresenta l’amore come un reticolo di instabili equilibri,all’interno della
fragile realtà della coppia,dove il rapporto tra le due componenti appare come
un continuo trovarsi per poi perdersi,a rappresentare una condizione infelice per difficoltà a
comunicare. Ori Bernstein[12]:
Crescono i coralli
ogni giorno.
La tua carne si
riduce.
Prima che ci circondi
tutt’intorno
La polvere o il caldo
di quest’unica terra
A noi
consueta,consentimi soltanto
Di farti una carezza
vana
Di spruzzarmi su di te
come un’esile fontana
Di acqua o di luce.
Forse in selvagge
città oscure
Esistono figure
Di noi due più
gagliarde.
Agli occhi tuoi gli
stranieri
Sempre svelano misteri
E forze che non ho.
E prima che il tuo
petto caschi,che il tuo occhio si offuschi
E che la polvere ti
corra incontro,passeremo
Una tranquilla serata
In questa nostra
patria bruciacchiata
In cui mi consentirai
di calmarti
Con mano a te come il
tuo corpo nota.
O ancora:
A cavallo di una moto
Vestita di ciarpame
scintillante e sulla faccia avevi
Una maschera d’oro
come quella di Agamennone,
passavi con
fracasso,gioiosa.
Non un sogno di
morte,dal momento
Che le tue cosce
abbracciavano voluttuose il veicolo
E una delle tue mani
mi salutava
E la maschera sottile
sventolava
Quasi respirasse per
conto suo.
E tuttavia mi sei
passata davanti,
galoppando spietata
alle tue faccende,
e la strada alle tue
spalle si riempiva tutta di polvere
e di avanzi del tuo
odore e di galline in fuga.
Con i poeti delle generazioni più recenti il paesaggio si fa urbano,con interni. Il paesaggio e la natura,sia pure
vissuti con il rimpianto del passato,scompaiono definitivamente. L’eros è molto
più carnale,aggressivo,problematico e sofferto, all’interno di uno spazio
“bruciacchiato”, rumoroso e pieno di polvere e di un tempo che corre via veloce
e ci fa galoppare spietati e frettolosi agli impegni e rende presto il seno
vizzo e lo sguardo velato dalla vecchiaia,senza aver avuto il tempo di
rendersene conto .
Altra individualità,altra storia
biografica quella di Ronny Someck[15].Nasce
a Bagdad e a tre anni si trasferisce in Israele.Forse è in questa sua
condizione di Israeliano d’Oriente,di appartenente ad una minoranza in patria,
che si è formata la particolare sensibilità che lo spinge a interessarsi alla
composita identità nazionale israeliana e a fargli affermare che “ciascuno ha
un altrove da ricordare”.Canta la minimetropoli israeliana, dove anche gli
intensi colori d’oriente si stemperano in un panorama urbano ormai omologato. E
l’amore potrà realizzare il piacere d’un attimo,il tempo della speranza di
procedere fino al semaforo dell’incrocio successivo,paghi di poter avanzare
ancora sia pure di una piccolissima tappa.
Fairùz alza le labbra
Al cielo
Perché ne piova
gelsomino
Sopra quelli che una
volta s’incontrarono
Ignorando d’amarsi.
Nella fiat di Muhàmmad
l’ascolto
Nel mezzodì di via Ibn
Gabiròl
Una cantante libanese
canta nella sua macchina italiana
Di un poeta arabo di
Bak’a Al Garbìa.
E il gelsomino?
Se cadrà giù dal cielo
dell’Apocalisse
Per un attimo il
semaforo
Si farà
Verde
Al prossimo incrocio.
Diverse sono le soluzioni che emergono
dalla trasformazione,impressa al linguaggio poetico in Israele, a partire dagli
anni ’70 dalle forti individualità degli autori.
Un esempio interessante è quello di
Yitshak Laor[17]
in:
Come un boa il tuo
respiro è rimasto
a pelo dell’acqua
scura, il tuo corpo
attraccato al mio che
naviga o galleggia,io
mi aggrappo ai
sussurri,la radio o un mormorio giunge
da fuori dalla strada
accanto,forse litigano
o scherzano sulla gita
del mattino,forse
qualcuno parla da solo
e se ti sveglio(su’
traduci)quanto in fretta ricorderai che ti ho
ferita?In me,
per esempio,ogni
rabbia è sfumata. Vago
nel buio,in cui nulla
riconosco se non il tuo respiro
il tuo corpo,un’oscura silhouette rimasta da quando spegnemmo la luce.
Qui la precarietà si è
eretta ad assoluto. E la serie di enjambements,[19] come le spire sinuose e soffocanti del boa, avvolge il lettore e lo stringe alla gola. Sembra mancargli il
respiro. Il conseguente disorientamento lo
porta a rivivere una deriva sfilacciata di trafitture, che sfibrano la
volontà. Non c’è più irritazione né amarezza. Soltanto un
fatalistico,rassegnato lasciarsi andare. Sul lettore l’ effetto del graffio di un ‘unghia che stride su un
vetro.
In
conclusione, possiamo constatare che dalla stessa terra emergono anche le
modalità poetiche in forte contrasto. Dall’assoluto del mito del poeta
palestinese al particolare della dimensione quotidiana individuale dei poeti
israeliani,per dire anch’essi del disagio esistenziale,ma,questa volta,iscritto
nel tempo storico,contemporaneo.
Mahmud Darwish viene a
rappresentare il cittadino del mondo,l’astronauta che ha sperimentato
l’orizzonte del cosmo,il cesellatore della parola per cantare l’Uomo in
equilibrio con il mondo naturale e la sofferenza universale di chi ha dovuto
recidere il legame con la propria terra e non ha potuto vivere pienamente
l’amore e la fratellanza con i suoi simili. Visionarietà,ricerca sapienziale ed
energia mitica connotano il registro alto della sua poesia.
I poeti israeliani cantano
anch’essi,con modalità personali diverse, il dolore e la sofferenza – nella sfera privata –della vita di coppia,o
le tensioni,i desideri e i sentimenti- nel contesto politico nazionale– per
esprimere,in nome del loro radicato legame con il proprio paese,un’aspra
critica alle scelte della politica nazionale,dando spesso una forza
espressionistica alla fisicità delle cose comuni della vita di ogni giorno».
‘Davvero fantastico. E Darwish?
Una vera scoperta. Come dice?
“aspettala /e non
spaventare gli uccelli delle sue trecce …”
Sì,credo di capire perché le sono sembrati
così interessanti, che cosa ha colpito Zoé .’
Intanto è diventato così
scuro che il parco è scomparso al di là della cornice bianca della finestra, al
di là delle leggere tende scostate. Solo la pioggia continua a segnare i vetri
rabbrividendo ad ogni soffio di vento. I rumori della città sono lontani. La
stanza di Gordon è immersa in un buio irreale dove i confini di tutte le cose
si sono persi. Fragranze di gelsomino, scalpitii
di cavalle alla fonte, polvere grigia, succosi fichi e incongrue moto d’acciaio
galleggiano nella sua testa.
‘No, neanche stasera uscirò. Ci sarà
tempo … Ci sarà tempo.’
[1] Mahmud Darwish Mahmud Darwish
nasce nel 1941 nel villaggio di al-Birwa, in Galilea, Palestina, oggi distrutto . Nel 1948 - durante il primo
conflitto arabo-israeliano - l'esercito di Israele scacciò i suoi abitanti e lo rase
al suolo. I genitori di Mahmoud cercarono rifugio in Libano , ma riuscirono
a rientrare nel loro paese,
illegalmente, l’anno successivo,diventato parte di Israele, i loro beni
confiscati e alcun diritto di cittadinanza. Pubblicò la sua prima raccolta di
poesie, Foglie d'Ulivo, nel 1964. Divennero famose alcune poesie che raccontano
la condizione dolorosa e folle dell'esilio. La poesia di Darwish assumeva un
ruolo di riferimento collettivo per la causa palestinese. Nel 1970 abbandonò
definitivamente la Palestina/Israele per un periodo di studio in Unione
Sovietica. Da allora trascorse la sua vita risiedendo per periodi diversi nelle
principali città del mondo arabo: Il Cairo, Beirut, Amman. Dopo un periodo di
esilio a Cipro, visse tra Beirut e Parigi. Lavorò anche al Cairo presso il
quotidiano nazionale "al-Ahrām". La seconda metà degli anni ottanta
furono l'epoca del suo maggiore impegno politico. Nel 1987 fu eletto nel
Comitato Esecutivo dell'OLP. . Si dimise nel 1993, perché contrario agli
accordi di Oslo. Mahmoud Darwish ha redatto il testo della Dichiarazione
d'Indipendenza dello Stato Palestinese, documento promulgato nel 1988 e
riconosciuto da diversi stati. Dopo 26 anni di esilio, ottenne un permesso per
visitare la sua famiglia nello stato di Israele. E’ morto a Houston,Texas,USA,
nel 2008, per le complicanze di un delicato intervento al cuore.
[2]Mahmud Darwish, “Canzone di nozze”, da Il
letto della straniera, Epochè ed., 2009.
[3] Cfr. Emmanuel Levinas. Filosofo
contemporaneo, ebreo lituano naturalizzato francese.
[4] Ibidem.
[5] Trovatore provenzale del XII s., principe di Blaye, che cantò l’amore per la
contessa di Tripoli di cui si era innamorato senza conoscerla, per i racconti
meravigliosi che gliene avevano fatto i
pellegrini al loro ritorno da Antiochia. Il leitmotiv delle sue poesie è
l’amore lontano, di là dal mare.
[7] Yehuda Amichai, pseudonimo di
Ludwig Pfeuffer, nasce a Würzburg, Germania, nel 1921 e muore a Gerusalemme nel 2000. Padre della produzione antiretorica avviata
fin dagli anni ‘50 , promotore del
riassetto sliricizzante della poesia israeliana contemporanea.
[9] Chaìm Guri nasce a Tel Aviv nel
1947.
[10]Chaim Guri, “Idillio”, in Poeti
israeliani, op.cit.
[11] Cfr. “Il volto dell’Altro”in Emanuel Levinas.
[12] Ori Bernstein nasce a Tel Aviv nel
1936, figlio di un industriale. Ha studiato giurisprudenza all’Università
Ebraica di Gerusalemme ed ha aperto uno studio legale a Tel Aviv nel 1960. Dal
1967 al 1990 è direttore generale del complesso industriale Amcor e
contemporaneamente redattore di una collana per ragazzi di un’importante casa
editrice israeliana. Ha insegnato scrittura creativa nelle università di Tel
aviv e Beer Sheva. Ha diretto con Natan Zach la rivista letteraria Yochani e
attualmente insegna Letteratura Ebraica
all’università Ben Gurion del Negev e continua la sua attività di legale. Ha
pubblicato 13 volumi di poesie,un romanzo,una raccolta di saggi, un libro di
viaggi e tre libri per bambini. Ha anche tradotto poesie italiane,francesi e
inglesi in ebraico tra cui Une saison en
l’enfer di Rimbaud e una raccolta di Yeats. Le sue poesie sono state
tradotte in 15 lingue.
[14]Ori Bernstein, “E tuttavia…”, ibidem.
[15] Ronny Someck nasce a Bagdad nel
1951. La famiglia si è trasferita in Israele quando aveva solo tre anni.
Ha studiato letteratura ebraica e
filosofia all’Università di Tel Aviv e disegnato all’Accademia d’Arte Avni.
Vive tuttora in Israele, dove ha
lavorato come maestro di strada, e abitualmente insegna letteratura e tiene
laboratori di scrittura creativa.
[16] Ronny Someck,” Gelsomino…”, in Poeti israeliani,op.cit.
[17] Yitzhak
Laor è nato nel 1948 a Padres Hannah, in Palestina, un anno prima che
diventasse territorio israeliano. Lavora e scrive a Tel Aviv, come poeta,
drammaturgo, romanziere. E' anche editorialista e critico letterario del
prestigioso quotidiano Haaretz. Ha pubblicato una dozzina di volumi
di poesia, romanzi, commedie e racconti, oltre ad alcuni saggi. Il suo lavoro è
tradotto in più di dieci lingue, tra cui l'arabo. Nel 1972 ha scontato sei mesi
di detenzione, per diserzione dalle armi e, negli anni '80, ebbe risonanza
internazionale una sua poesia in cui condannava la guerra dell'esercito
israeliano in Libano. Per le sue opere apertamente critiche nei confronti
della politica israeliana è stato censurato e gli sono stati negati premi e
riconoscimenti. Nel 2007 denuncia la politica militare e oppressiva di Israele
verso i Palestinesi, la strumentalizzazione propagandistica della stessa Shoah
in funzione anti-islamica e anti araba. Secondo Laor, la responsabilità della
propaganda ipocrita e bellicosa del suo paese ricade anche su alcuni
intellettuali israeliani che si presentano come "pacifisti", quali
David Grossman, Amos Oz, Abraham B. Yeoshuah.
[18] Yitshak Laor,” Silhouette”, in Poeti israeliani, op.cit.
[19] Figura metrica per cui la fine
del verso non coincide con la fine di una frase o di una parte di essa; l’enunciato
che continua nel verso seguente provoca l’enjambement.
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