Alcuni anni fa,e precisamente nel 1950, mi domandò qualcuno quale fosse
a mia posizione di fronte a quegli scrittori che affermano di stabilire un
equilibrio tra espressione artistica e attività sociale ...Risposi:"Non sono
i fatti esterni che fanno lo scrittore:è lo scrittore che giudica,mediante la
propria opera tali fatti dai quali,se è vero scrittore,non potrà mai essere
determinato. Certo , per natura, ogni uomo, elo scrittore, è nella storia e
non fuori dalla storia; ma se uno scrittore non riesce nella propria opera
ad esprimerla,la storia,infondendole il soffio e dandole l'impronta del
proprio personale esistere, è uno scrittore secondario del quale la storia
non terrà affatto conto. uno scrittore, un poeta, è sempre ,s econdo me,
impegnato a fare ritrovare all'uomo le fonti della vita morale che le
strutture sociali di qualsiasi costituzione siano,hanno sempre tendenza a
corrompere,a distaccare."
In altri termini ,volevo suggerire che il poeta è difatti,quando riesca ad
esprimersi,radicato nella storia ,non potendo,se è poeta,non accorgersi
della sofferenza umana che lo circonda; ma volevo soprattutto suggerire
che al poeta ,e per le vie che gli sono proprie e non possono essergli
dettate,è i possibile,se riesca ad esprimersi,non sentirsi naturalmente
portato a dare alle proprie parole un significato di rottura dei limiti della
storia , di liberazione dalle condizioni e dalledeterminazioni della storia.
L'anelito a libertà è nell'essenza stessa della poesia, e mi sarà in proposito
d'aiuto a farmi meglio capire la citazione del passo certamente più bello
del Dialogo di Timandroe Eleandro di Leopardi."Se alcun libro morale
potesse giovare,io penso che gioverebbero massimamente i poetici: dico
i poetici prendendo questo largamente: cioè libri destinati a muovere
l'immaginazione:e intendo non meno di prose he di versi. Ora io fo
poca stima di quella poesia che letta e meditata non lascia al lettore
nell'animo un tale sentimento nobile che,per mezz'ora, gl'impedisca di
ammettere un pensiero vile e di fare un'azione indegna." In questo
pensiero del Leopardi è definito esattamente il potere di liberazione cui
alludevo e che ritengo possegga la poesia, la vera.
Un altro punto, legato anch'esso a mie personali convinzioni,è il seguente:
è errore parlare di decadentismo riferendosi all'arte di oggi in Occidente..
Quelle ricerche di linguaggio si chiudono col Coup de dés di Mallarmé e
con le ultime pitture di Cézanne dove appare il cubismo:si chiudono aprendo
la strada a nuove ricerche. Le ricerche nimate dal sentimento della decadenza
risalgono alla seconda metà del Settecento. Il sentimento della decadenza è
un sentimento che si lega quasi esclusivamente ai sensi,un sentimento che
sà peso determinante alla storia ,all'invecchiamento cui anche la storia è
soggetta,alla storia intesa biologicamente.
Oggi nell'arte d'Occidente è il sentimento di invecchiamento della materia
che costituisce la leva dell'ispirazione. Si sente che la materia ci soverchia,
e che i mezzi di sempre più paurosamente crescente potenza che il sapere
dell'uomo trae incessanemente dalla materia, anch'essi ci soverchiano, ci
fanno ogni giorno più soverchiante la materia. Nelle sue ricerche di linguaggio
è parso al poeta di doversi dedicare a trovare forme nelle quali un equilibrio
di liberazione, un equilibrio morale enisse ragionto rispetto all'opposizione
della materia. Non m'addentrerò a dire in quali modi in Occidente la musica
e la poesia e la pittura abbiano nelle loro ricerche cercato di risolvere tanta
straordinaria crisi di linguaggio. Anche del resto nella scienza mi pare che
il liguaggio non si dibatta in minore crisi,e potremmo parlare,per esempio,
del colpo inferto alle matematiche classiche dalla microfisica per cui, chi ha
seguito le tappe e gli sviluppi della disputa detta del determinismo che da
cinquant'anni ormai dura e a cui hanno partecipato o partecipano insigni
uomini come Bohr, e Heisenberg,Einstein e Schroedinger,louis de Broglie
e Max Born,per cui i sa che le matematiche classiche , e con esse il
determinismo ammesso dall'antica fisica e che era legato alla possiibilità
che avevamo di darci un'immagine precisa della realtà fisica nel quadro
dello spazio e del tempo,sono divenuti strumenti di sogni inattuabili in realtà.
Quel monumento di logica ,onore della mente umana,che erano le matematiche
classiche, sarebbe dunque crollato? Oh! è uno strumento che renderà ancora
prodigiosi serdvizi,e mi pare rimanga,pre quanto approssimativo possa essere
divenuto in dati casi, linguaggio di cui, dovendo esprimersi,non possono ancora
privarsi nemmeno i culori di microfisica. .
In ogni caso non si tratterebbe di crisi della scienza,sarebbe cosa inconcepibile,
sarebbe semmai in crisi il linguagio scientifico necessario a dare modo di ragionare
con precisione su dati di cui sia in possesso il sapere sperimentale, oggi.
Il linguaggio non è la scienza,e non è neanche, il linguaggio,la poesia, e, in
poesi, l'uscita dalla crisi, la liberazione avviene di continuo,ogni giorno, anche
oggi. Crisi di linguaggio ci sono sempre state, non forse mai sconcertantii come
quella attuale, la crisi è continua , e continua , in poesia, può essere la liberazione.
In poesia il linguaggio è in continua formazione, e di continuo fruttifica poesia.
C'è liberazione , frutto, quando in espressi modi o con arte, l'uomo, qualsiasi
uomo arrivi a tanto dominare moralmente il proprio tempo che,pure riflettendo
del proprio tempo gli aspetti terribili e gli aridi,pure riflettendone la cultura e le
polemiche che la cultura ingenera, il suo canto si snodi tacitamente negli slanci
segreti d elcuore, o con un essenziale vocabolario, con un ritmo individuale e dei
propri tempi che si possa commisurare al tradizionale ritmo. Così si risalgono in
un grido,addietro le ere sino alla remotissima origine della umana voce,così si
oltrepassanell'illuminazione di un attimo, la storia fattasi presente nel suo nascere,
nei suoi fini, nel suo cerchio sino al suo chiudersi.
Ottobre 1957. Giuseppe Ungaretti.
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