II, 23
Chiamami quando ritorna l'ora
che ostinatamente ti s'oppone:
s'accostò qual cane che t'implora,
ma ti schiva quando hai l'illusione
Chiamami quando ritorna l'ora
che ostinatamente ti s'oppone:
s'accostò qual cane che t'implora,
ma ti schiva quando hai l'illusione
d'afferrarla. Ecco, tuo è questo:
spoliazione. Noi viviamo senza
legami; dove aspettammo il gesto
dell'incontro, lì fu la licenza.
spoliazione. Noi viviamo senza
legami; dove aspettammo il gesto
dell'incontro, lì fu la licenza.
Trepidi, vorremmo una certezza:
antica?...in noi troppa giovinezza,
e vecchi, per ciò che non è ancora.
antica?...in noi troppa giovinezza,
e vecchi, per ciò che non è ancora.
Noi, giusti se tuttavia inneggiamo,
perché, ahimé, siamo la scure e il ramo
mentre dolce il rischio s'insapora.
perché, ahimé, siamo la scure e il ramo
mentre dolce il rischio s'insapora.
«Questo sonetto - commenta Rilke - è rivolto a un cane. "La mano del
mio Signore" stabilisce la relazione con Orfeo, che qui è considerato il
"Signore" del poeta. Egli vuole guidare questa mano perché, in forza
della sua infinita partecipazione e dedizione, benedica il cane che, quasi come
Esaù {si tratta in verità di Giacobbe, Genesi, 27 }, si è avvolto
nel vello, per poter partecipare di una eredità che non gli spetta: quella dell'intera
umanità con le sue sofferenze e le sue gioie».
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