martedì 5 luglio 2016

I narratori poeti.C.Pavese.5.

Dire ,ora, il  bene che penso di una simile versificazione è
superfluo Basti che essa accontentava anche materialmente
il mio bisogno tutto istintivo,di righe lunghe,poiché sentivo
di aver molto da dire e di non dovermi fermare a una ragione
musicale nei miei versi,ma soddisfarne altresìuna logica.E
c'ero riuscito e insomma, o bene o male,in essi narravo.
Che è il gran punto in esame.Narravo,ma come? Ho già detto
che giudico le  prime poesie della raccolta materialistici poemetti
di cui è caritatevole concedere che il fatto costituisce nulla più
che un impaccio,un residuo non risolto in fantasia.Immaginavo
un caso o un personaggio e lo facevo svolgersi o parlare.Per
non cadere nel genere poemetto,che confusamente sentivo
condannabile,esercitavo una vigliacca economia di versi,e
in ciascuna poesia prefissavo un limite al loro numero,che
parendomi di far gran cosa ad osservare,non volevo nemmeno
troppo basso,per il terrore di dare nell'epigramma.miserie
dell'educazione retorica.Anche qui mi salvò un certo silenzio
e un interessamento per altre cose dello spirito e della vita
che non tanto mi portarono un loro contributo,quanto mi
permisero di meditare ex novo sulle difficoltà ,distraendomi
dallo zelo feroce con cui facevo pesare su ogni mia velleità
inventiva l'esigenza di virile oggettività nel racconto.Pe
restare in biblioteca,un nuovo interesse fu la rabbiosa
passione per Shakespeare e altri  elisabettiani,letti tutti,
e postillati,nel testo...

                                                                   continua

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